PRESENTAZIONE
La prima difficoltà in cui s’imbatte lo storico del Compagnonaggio concerne una questione terminologica. Nel Medioevo, le associazioni che riunivano operai o padroni erano denominate indifferentemente fratellanze, carità, confraternite, comunità, arti, mestieri, collegi, giurande, hanse e gilde. Benché tale confusione dipenda verosimilmente dal fatto che alcune società avevano interesse a restare segrete, è necessario stabilirvi qualche distinzione. I nomi di carità e fratellanza, di per sé chiari, non oltrepassarono l’epoca medievale. Le hanse e le gilde comparvero esclusivamente nel nord dell’Europa. Le giurande non datarono che dal secolo XVI. Di conseguenza, nella Francia capetingia del secolo XIII i nomi utilizzati erano quelli di comunità, arti o mestieri. Queste organizzazioni corporative fecero la loro apparizione con i comuni urbani e subentrarono alle botteghe demaniali dei castelli e delle abbazie, vantando una grande antichità allorché si pensi che i merciai, quali «grossisti» del Medioevo, pretendevano di aver ottenuto il loro privilegio da Carlo Magno, mentre gli orefici lo attribuivano a Carlo il Calvo. Il termine corporazioni apparve paradossalmente solo nel 1776, nell’editto di Turgot, che le soppresse senza peraltro essere mai applicato.
L’espressione Compagnonnage è del secolo XIX. L’appellativo che i compagnons davano e ancor oggi danno alla loro associazione è «Dovere», intendendovi l’insieme delle regole che disciplinano ciascun rito, la storia leggendaria del suo fondatore, la sequenza dei simboli che ne costituiscono l’iniziazione, le consuetudini che lo hanno gradatamente arricchito sul fondo primitivo. A un tempo, esso è storia, rituale e regola d’azione.
Il Medioevo concepiva le distinzioni sociali sul modello trinitario. Così, la società era formata da borghesi, nobili e chierici. Come triade si articolavano anche i gradi della cavalleria, nei ruoli di paggio, scudiero e cavaliere. Nell’Ordine corporativo e massonico, i tre gradi erano (e sono tuttora) quelli di apprendista, compagno e maestro. Benché il Compagnonaggio sia una comunità strettamente egualitaria, è riconoscibile una tripartizione simile nei gradi di aspirante, compagno e compagno-finito. Al contempo, i patroni dei tre riti compagnonici – maître Jacques, re Salomone e père Soubise -impersonano le tre classi (libere) di ogni società tradizionale: artigianale, regale e sacerdotale.
L’AUTORE
Luc Benoist, Conservateur honoraire des Musées de France e storico dell’arte, è stato prolifico autore in materia di simbolismo ed ermeneutica. Già collaboratore della rivista «Ètudes Traditionnelles», i suoi principali lavori sulle arti figurative sono apparsi con Gallimard, Presses universitaires de France, Éditions de Cluny.
Le Compagnonnage et les métiers è stato originariamente pubblicato nella collana QSJ da Presses universitaires de France.
SOMMARIO
Introduzione – La leggenda delle origini – La storia prima della Riforma – La storia dopo la Riforma – La mano e lo spirito – Riti e iniziazione – Il Tour de France – Dal mestiere all’automazione – Appendice.
VESTE TIPOGRAFICA
Formato tascabile 19,5 cm x 10,5 cm; copertina in cartoncino vergato Cordenons “Dalì” perla 200 gsm (con alette da 7,5 cm); pagine interne in carta Favini “Aralda” avorio 120 gsm; stampa offset tipografica; brossura cucita a filo di refe.

SCHEDA
Luc Benoist, Compagnonaggio: La tradizione operativa dei mestieri in Francia, Harmonia Mundi, Torino 2017.
204 pagine
collana tascabile MONOGRAFIE, titolo n. 8
ISBN 978–88–99734–07–7
QUARTA DI COPERTINA
Un tempo, il mestiere aderiva alla natura umana e poteva divenire un’arte, ovverosia un’attività conforme a una certa perfezione. Tale conformità dava al lavoro un prolungamento sovrannaturale, lo assimilava alla contemplazione e alla preghiera, dava all’artigiano la coscienza d’impegnarsi, radicarsi nella sua vocazione e diventare a sua volta un creatore; così, questi collaborava umanamente all’opera divina quanto più accettava tale ruolo, fino a vagheggiare di continuarla e perfezionarla. Nella provvidenziale diversità di vie e vocazioni, evidentemente numerose quanto i mestieri stessi, l’artigiano doveva accettare coscientemente ciò che prima avvertiva solo come una chiamata inconsapevole della sua natura, affinché l’opera prodotta potesse raggiungere tutta la perfezione possibile nel suo ordine; era lo stato di capolavoro, nel senso tradizionale del termine.