ANANDA K. COOMARASWAMY

Induismo e Buddhismo Scritture sacre, miti, insegnamenti alla luce della Philosophia perennis

PRESENTAZIONE

Il Buddha, la «Grande Persona», l’Arhat, il «Diventato Brahma», il «Dio degli dèi» dei testi pāli è lo Spirito (ātman) e l’Uomo Interiore di tutti gli esseri; egli è «Quell’Uno» che si fa molteplice e nel quale tutti gli esseri «ridiventano uno»; il Buddha è Brahma, Prajāpati, la Luce delle Luci, il Fuoco o il Sole, il Principio Primo o qualsiasi altro epiteto con cui lo designano gli antichi testi. Ogni descrizione della vita e delle imprese del Buddha non è che una rinarrazione delle gesta di Brahma in quanto Agni o Indra. Agni e Indra sono il Sacerdote e il Re in divinis: sono proprio queste le due possibilità che realizzerà il Buddha; e sebbene in un certo senso il suo regno non sia di questo mondo, non vi sono dubbi che, in quanto Cakravartin, egli è nel contempo «sacerdote e re» nello stesso senso in cui lo è Cristo.

La logica stessa delle Scritture ci fa dire che Agnendrau, Buddha, Kṛṣṇa, Mosè e Cristo sono i nomi di una medesima e unica «discesa» di natura eterna; inoltre ci fa riconoscere che tutte le Scritture, senza eccezione, esigono da noi la conoscenza del nostro Sé e nello stesso tempo la conoscenza di cosa-non-è-il-nostro-Sé, chiamato un «sé» solo per errore; c’indica anche che la Via per diventare «quel che siamo» richiede che dalla nostra propria coscienza venga estirpata ogni falsa identificazione con «ciò che non siamo» ma che riteniamo di essere quando diciamo «io penso» o «io faccio». Essere diventati «puri» (śuddha) significa essere riusciti a distinguere il nostro Sé da tutti i suoi «accidenti» fisici e psichici. L’identificazione del nostro Sé con questo o quell’accidente è invero la peggiore di tutte le possibili forme dell’illusione, l’unica causa delle «nostre» sofferenze e della «nostra» natura mortale, dalla quale non possono di certo affrancarsi coloro che sono ancora «qualcuno».

È tuttavia contrario allo spirito del Buddhismo e all’insegnamento del Vedānta ritenerci degli esseri vaganti nel fatale fluire dei mondi (saṃsāra). «Il nostro Sé immortale» è tutto tranne una «individualità che sopravvive». A ritornare alla sua dimora e sparire alla vista, non è questo Tal-dei-tali, ma il prodigo Sé che si ricorda di se stesso e che, dopo essere stato molteplice, è nuovamente unico e inscrutabile, Deus absconditus. La realizzazione del nirvāṇa è il «Volo del Solitario verso il Solitario».

L’AUTORE

Ananda Kentish Coomaraswamy (1877–1947) ha stilato opere fondamentali — oltre un migliaio di scritti, compresi quelli inediti o in corso di pubblicazione — che hanno contribuito alla comprensione della cultura indiana da parte del mondo occidentale in ambito storico, artistico, filosofico e simbolico. Poliglotta (inglese, hindī, greco, latino, francese, tedesco, islandese e, in misura minore, persiano e cinese), studioso di pāli e sanscrito, Coomaraswamy era un uomo dalle molte sfaccettature: geologo e botanico di formazione, scrittore, critico sociale, curatore museale, collezionista d’arte e soprattutto metafisico, come desiderava essere ricordato prima d’ogni altra cosa.

Hinduism and Buddhism (1943) è stato originariamente pubblicato a New York dalla Philosophical Library, quale rielaborazione e integrazione documentale di lezioni tenute dall’Autore presso il Jewish Theological Seminary of America.

SOMMARIO

Prefazione: Ananda Kentish Coomaraswamy e la via dell’immortalità (di Paolo Urizzi) — Nota dell’Editore  Avvertenza dell’Autore — Abbreviazioni — Induismo: Introduzione — Il mito — Teologia e autologia — La via delle opere — L’ordine sociale — Buddhismo: Introduzione — Il mito — La dottrina.

VESTE TIPOGRAFICA

Formato 22,5 cm x 15,3 cm; copertina in cartoncino vergato Cordenons “Dalì” perla 285 gr. (con alette da 8,9 cm); pagine in carta “Palatina” avorio 120 gr.; brossura cucita a filo di refe.

SCHEDA

Ananda Kentish Coomaraswamy, Induismo e Buddhismo: Scritture sacre, miti, insegnamenti alla luce della Philosophia perennis, pref. di Paolo Urizzi, trad. it. di Ubaldo Zalino e rev. edit. di Fabrizio Alfieri, Harmonia Mundi, Torino 2022, 144 pagine (grande formato).

collana GRANDI MONOGRAFIE, titolo n. 3

ISBN 978–88–99734–22–0

QUARTA DI COPERTINA (dalla Prefazione di Paolo Urizzi)

«Dalla falsità portami alla verità, dall’oscurità portami alla luce, dalla morte portami all’immortalità», sono le parole del Pavamānamantra con cui si conclude la Bṛhadāraṇyaka, una delle più classiche ed antiche Upaniṣad vediche, che ben si addicono a riassumere la vita di Ananda Kentish Coomaraswamy, uno dei giganti intellettuali del secolo XX. Pensatore fecondo ben noto in Occidente negli ambienti d’ispirazione tradizionale e perennialista, come pure agli studiosi dell’arte orientale, il suo stile letterario è un capolavoro di finezza filologica che si accompagna ad una penetrante quanto ricca e complessa visione metafisica. Il suo pensiero è stato plasmato dai grandi maestri di saggezza del passato, da Platone a Filone Alessandrino, da san Tommaso a Meister Eckhart, da Dante a Rūmī assieme a una moltitudine di altri, ma soprattutto da una ineguagliabile conoscenza delle Sacre Scritture, su tutte i testi vedici e il Canone pāli buddhista, dei quali padroneggiava la lingua e i concetti con una competenza fuori dell’ordinario.

Coomaraswamy è un interprete ispirato e colto della dottrina eterna e immutabile; nel tradurre il linguaggio della Philosophia perennis quale si è espressa nei Veda, ha esposto in modo eminente la dottrina del Sacrificio (yajña) eterno che segna sia il passaggio dall’Unità immanifesta alla molteplicità della manifestazione sia quello interiore che riporta l’essere contingente alla sua origine immortale, all’Unità indivisa dalla quale non v’è separazione se non in maniera illusoria. Per realizzarlo vi è una Via di azione che si svolge nel cosmo, una mimesis rituale che ripristina l’immagine del Centro in mezzo alle indefinite possibilità d’esistenza, ma solo per ricordarci che quel Centro, vero Cuore del mondo, è in realtà dentro di noi nelle profondità nascoste del nostro «cuore spirituale», e che la sola Via per ritrovarlo, e realizzarlo, è la Conoscenza di quel Sé immortale che dimora quale solo Testimone silenzioso del tutto nella Caverna del cuore. Che il linguaggio impiegato sia quello del Veda o del Buddhismo non fa poi differenza, e sarebbe lo stesso che venisse impiegato quello del Cristianesimo, dell’Islām o di qualsiasi altra forma di Saggezza arcaica o di Filosofia tradizionale, tenendo però sempre bene a mente tutte le doverose distinzioni che separano la saggezza umana da quella divina, quella generata nel tempo da quella atemporale e immutabile. Si tratta unicamente di espressioni diverse dell’unica lingua dello Spirito che ha soffiato e soffia da tutta l’eternità nei ricettacoli d’elezione della Sua Parola ispirata.

NOTA DELL’EDITORE

La presente rielaborazione italiana di Hinduism and Buddhism, a partire dall’originale in lingua inglese, riprende e perfeziona la prima traduzione curata da Ubaldo Zalino nel 1973, a suo tempo condotta a partire da quella francese di René Allar e Pierre Ponsoye del 1949, in quanto integrante le revisioni e le annotazioni che lo stesso Ananda Kentish Coomaraswamy aveva predisposto prima della propria morte in vista di una riedizione dell’opera.

Attraverso il minuzioso confronto e lo studio delle differenti versioni succedutesi nel corso del tempo, si è potuto provvedere — laddove necessario — a una migliore precisazione di quei passaggi del testo la cui restituzione sintattica o terminologica fosse stata eventualmente viziata dal filtro francese. A beneficio del lettore, inoltre, le integrazioni di cui si pregia la nostra edizione — l’unica a preservarle in lingua italiana — sono state evidenziate attraverso l’uso di parentesi quadre o note specificate all’occorrenza, prendendo come riferimento quanto realizzato dalla Golden Elixir Press di Mountain View, California, nel 2011. Per rispetto delle magistrali competenze dell’Autore, infine, si è qui ripresa la traslitterazione dei termini sanscriti e pāli adottata nell’originale.

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About ANANDA K. COOMARASWAMY

Ananda Kentish Coomaraswamy (1877-1947) ha stilato opere fondamentali – oltre un migliaio di scritti, compresi quelli inediti o in corso di pubblicazione – che hanno contribuito alla comprensione della cultura indiana da parte del mondo occidentale in ambito storico, artistico, filosofico e simbolico. Poliglotta (inglese, hindī, greco, latino, francese, tedesco, islandese e, in misura minore, persiano e cinese), studioso di pāli e sanscrito, Coomaraswamy era un uomo dalle molte sfaccettature: geologo e botanico di formazione, scrittore, critico sociale, curatore museale, collezionista d’arte e soprattutto metafisico, come desiderava essere ricordato prima d’ogni altra cosa.